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6. La Salette e Laus: fantasie fatate?

di Marco Corvaglia

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Quando si credeva alle fate... 

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Vista panoramica di La Salette.

La Salette costituisce la prima '"apparizione" ad essere stata approvata (in maniera esplicita e formale) dalla Chiesa, nella persona del vescovo di Grenoble, nel 1851, e la prima "apparizione" per la quale disponiamo di una descrizione veramente approfondita e particolareggiata della figura che sarebbe apparsa.

Ciò ne fa un caso particolarmente interessante da studiare, inserendolo nel suo contesto storico-religioso.

Nel Dictionnaire des superstitions, pubblicato nel 1856 dal colto sacerdote ed editore cattolico francese Jacques-Paul Migne, si legge che "la credenza nelle fate è ancora viva nelle nostre province" [Fées, in A. de Chesnel, Dictionnaire des superstitions, erreurs, préjugés, et traditions populaires, Parigi,  J.-P. Migne, 1856, col. 392].

Per il popolo, non si trattava di personaggi delle fiabe: le consideravano reali creature soprannaturali.

Anzi c'è di più: nello stesso Dictionnaire des superstitions, si prendeva atto, con una certa amarezza, di come, per il popolo, la credenze cristiane e la credenza nelle fate fossero sincretisticamente fuse:

 

 
Lasciate che il Bretone, per esempio, continui a temere di incontrare le fate e i nani, e troverete sempre in lui un adoratore della croce. Persuadetelo, al contrario, che le sue signore bianche non sono che un'illusione, e voi forse lo spingerete a dubitare delle sante verità.​

[Ivi, p. 15]

 

Nella presente pagina ci proponiamo di documentare incontestabilmente due fatti, potenzialmente collegati:

  • negli strati popolari europei, e in Francia in particolare, a metà Ottocento era ancora diffusa (come da secoli) una fusione sincretistica di credenze cristiane e credenze pagane nelle fate;

  •  la descrizione della Signora di La Salette (fornita da Mélanie e Maximin) coincide, in maniera precisa e sistematica, con le descrizioni che la fantasia popolare utilizzava tradizionalmente, proprio per le fate.

Nella pagina Sorgenti, alberi e rocce: le origini storiche delle "apparizioni" mariane abbiamo già visto come, in un'enorme quantità di casi, dal Medioevo fino all'età contemporanea, la Madonna sarebbe apparsa (spesso ad un pastore) vicino a una fonte o a una massa d'acqua (lago, fiume), oppure su una roccia o in una grotta, oppure su un albero. 

A La Salette, nel 1846, i pastorelli Mélanie e Maximin raccontarono di aver visto la misteriosa Signora "seduta sulle pietre poste attorno alla fontana” [G. Barbero, La Vergine a La Salette. Storia dell'apparizione, San Paolo, 2004, p. 20].

Ebbene, dove si credeva che fosse possibile incontrare le fate?

"Le fate delle nostre campagne [...] abitano le grotte, le pietre e i boschi" [Fées, Dictionnaire des superstitions, erreurs, préjugés, et traditions populaires, cit., col. 392]; "le fonti sono il luogo d'incontro prediletto delle fate..." [Fontaines, ivi, col. 417].

Chi si riteneva che potesse facilmente incontrarle?

I pastori, che vivono a contatto con i suddetti elementi naturali.

Quando nel 1600 iniziano a nascere le versioni letterarie dei tradizionali racconti delle fate (prima tramandati oralmente), in diversi casi ci si imbatte in fate che appaiono a pastori (si pensi a Jeune et Belle di Charles Perrault, in cui la fata Jeune et Belle incontra il pastore Alidor, o a La princesse Carpillon di Marie-Catherine d'Aulnoy, in cui la fata Amazone appare al pastore Sublime e alla moglie). 

​Se abbandoniamo il campo delle fiabe e passiamo direttamente a quello delle credenze popolari, nel cattolico Dictionnaire des sciences occultes, pubblicato nel 1852, a proposito delle fate si legge che "spesso i pastori le sentono passare vicino..." [Superstitions, in Dictionnaire des sciences occultes, vol. II, Parigi, J.-P. Migne, 1852, col. 604].

 

Ma chi si credeva che fossero le creature immaginarie di cui stiamo parlando? 

Le loro origini affondano nell'antichità. Come scrive la professoressa Harf-Lancner, della Nuova Sorbona di Parigi, "nella mitologia romana, esse sono chiamate sia Parche (Parcae), sia fate (fata)" [L. Harf-Lancner, Le monde des fées dans l'Occident médiéval, Hachette Littératures, 2003, p. 25],

A loro si attribuiva il compito di presiedere al fato, al destino di ogni singolo uomo. Alcune erano considerate spaventose, ma alla maggior parte di esse si attribuiva un atteggiamento benevolo e materno (ad esempio, le cosiddette "fate madrine") e si riteneva che esaudissero i desideri degli uomini, anche quelli più materiali.

​Data la somiglianza nel nome, esse vennero fuse con le ninfe, "anche dette fatuae" [ivi, p. 27], antiche divinità greco-latine legate alle fonti, ai fiumi e ai laghi (Naiadi), ai monti e alle grotte (Oreadi), agli alberi (Driadi).

 

Tutte le suddette constatazioni obiettive impongono con forza delle domande. 

​​

Tenaci sincretismi

Sorgenti, alberi, rocce e grotte erano oggetto di venerazione nelle religioni antiche estranee alla tradizione ebraico-cristiana (in quest'ultima possono invece solo talvolta avere un mero valore simbolico).

 

Tuttavia, a partire dal V-VI secolo, queste forme di idolatria iniziarono a diffondersi anche nel popolo cristiano, nonostante la Chiesa tentasse (vanamente) di sradicarle. 

Il concilio di Tours del 567 (al canone XXII) prescrive di scacciare dalle chiese coloro che praticano riti presso "pietre, alberi o fonti, luoghi eletti dai pagani".

Nel 693 il concilio di Toledo (al canone II) esprime preoccupazione per i fedeli che, "ingannati da persuasioni di vario genere, diventano cultori di idoli, veneratori di pietre [...] e adorano sorgenti e alberi come luoghi sacri".

Quanto alle fate (pur non usando questo termine), intorno all'anno 1000, Burchard, vescovo di Worms, emanava un Decretum con il quale, rivolgendosi direttamente ai singoli fedeli, ingiungeva loro di non credere all'esistenza di "creature femminili agresti (agrestes feminae)" e di non mettere in atto pratiche per propiziarsi le Parche "credendo [...] che possano esserti utili nel presente o in avvenire" [L. Harf-Lancner, Le monde des fées dans l'Occident médiéval, cit., pp. 14-15].

Tutti moniti caduti nel vuoto, se consideriamo che ancora nel 1837, in un diario di viaggio d'Oltralpe, si legge che "le fate occupano il primo posto nelle credenze superstiziose dei popoli del mezzogiorno [della Francia]" e si riporta questo breve dialogo tra il viaggiatore e un'ostessa di un villaggio nel dipartimento del Gers:

 
​​- Voi dunque credete alle fate? le risposi io.​
- Io credo alle Blanquettes [signore bianche o "bianchette", MC] come a Gesù Cristo Nostro Signore, mi disse la giovane donna.
[Croyances superstitieuses de quelques peuples du midi, in "La mosaïque du midi",  Tolosa-Parigi, J.-B. Paya, 1838, p. 14]

 

Ancora alla fine dell'Ottocento, un intellettuale italiano osserva, con occhio critico, che non deve far "meraviglia il veder come gente, che si inginocchia innanzi a Maria, a Gesù, ai beati, agli angioli, alle sante vergini, preghi poi una Fata, perché le sia benigna nella vita" [G. Ragusa Moleti, Giuseppe Pitrè e le tradizioni popolari, Palermo, Tipografia del Tempo, 1884, p. 47].

A La Salette, sono gli stessi apologeti a riferire che Mélanie "non andava che raramente a messa" e "non conosceva quasi nulla di catechismo" e Maximin "non frequentava la chiesa" e mancava "di ogni istruzione religiosa" [G. Barbero, La Vergine a La Salette. Storia dell'apparizione, San Paolo, 2004, pp. 14-15].

 

È più che lecito ritenere che, nella loro vita, avessero sentito parlare più delle fate che della Madonna. Il che spiega quanto stiamo per documentare.

Esaminiamo ora, passo passo, i punti nodali delle dichiarazioni di Mélanie e di Maximin.  

Madonna o fata?

- "Con un soffio la si sarebbe fatta muovere..."

​Nel Dizionario delle "apparizioni" della Vergine Maria curato da padre René Laurentin, a proposito del modo in cui è stata descritta la Madonna nelle varie "apparizioni" della storia, si legge:

Quello che i veggenti affermano di vedere [...] [è] una donna con un corpo reale. È un punto decisivo. Nessun veggente descrive l'apparizione come un'immagine piatta, senza rilievo o, a fortiori, come un'illusione ottica. Ciò che loro dicono di percepire  - secondo le loro stesse parole - è un essere di carne e di sangue, sulla cui materialità non esiste alcun dubbio.
​[Descrizione (delle apparizioni), in R. Laurentin, P. Sbalchiero, Dizionario delle “apparizioni” della Vergine Maria, Art, 2010, p. 205]

​In verità, per le "apparizioni" precedenti al 1800, abbiamo descrizioni tendenzialmente vaghe che non si esprimono sulla materialità o immaterialità. 

 

​Al di là di questo, possiamo dire con sicurezza che a La Salette le cose stanno esattamente al contrario di ciò che è scritto nel dizionario apologetico:

 

 

I veggenti riferirono pure che la visione non era opaca, ma come trasparente, e che lasciava vedere attraverso di essa il prato verde e i monti.
[Giuseppe Barbero, La Vergine a La Salette. Storia dell'apparizione, San Paolo, 2004, p. 21]

 

 

Ma il problema più serio è un altro.

Cominciamo con il dire che, nel Dictionnaire des superstitions, del 1856, si legge:

FADÆ, FATIDICÆ e FADAS: Nomi che i Galli danno in particolare alle loro fate che abitano al riparo dei monumenti druidici. I Bretoni credono ancora all’esistenza di queste fate. Essi le rappresentano come delle donne belle e così luminose da essere trasparenti.
[A. de Chesnel, Dictionnaire des superstitions, erreurs, préjugés, et traditions populaires, cit., col. 373]

​Il 21 novembre 1878, Mélanie mette per iscritto un racconto dell'apparizione del 1846, poi pubblicato, con imprimatur del vescovo di Lecce, mons. Salvatore Luigi Zola, il 15 novembre 1879.

 

In questo autografo, Mélanie scrive:

La Santissima Vergine era alta e ben proporzionata. Pareva così leggera che con un soffio la si sarebbe fatta muovere, tuttavia era immobile e ben posata.
[L'apparition de la Très-Sainte-Vierge sur la Montagne de La Salette le 19 septembre 1846, publiée par la bergère de La Salette avec permission de l'Ordinaire, in René Laurentin, Michel Corteville, Découverte du secret de La Salette, Fayard, 2002, p. 66 (qui un'edizione pubblicata a Nimes nel 1881)]

La singolare affermazione di Mélanie ("pareva così leggera che con un soffio la si sarebbe fatta muovere") comincia a diventare tragicamente chiara se si consultano i testi dell'epoca in cui sono riportate le credenze allora diffuse a proposito delle fate.

 

 

Nel cattolico Dictionnaire des sciences occultes edito da padre Migne nel 1852, alla voce Superstitions, quelle delle fate sono infatti definite "apparizioni vaporose" [Dictionnaire des sciences occultes, vol. II, cit., col. 599].

Analogamente, in un libro scritto nel 1692 (ma rimasto inedito fino al 1815), il pastore presbiteriano scozzese Robert Kirk scrive che le fate hanno "corpi di aria coagulata" [R. Kirk, The Secret Commonwealth, Londra, David Nutt, 1893, p. 6 (cfr. edizione italiana: Il regno segreto, Adelphi, 1993, p. 16)].

- "Girava, girava..."

In un diario di viaggio pubblicato su un giornale francese di metà Ottocento si legge che alcune giovani signore, ballando in un casinò di Parigi, "roteavano rapidamente come le fate delle leggende" [B. Alexandri, Le lac Blanc, in "L'illustration", tomo XXIV, Parigi, 1854, p. 119].

​La credenza che le fate piroettassero era direttamente collegata alla loro natura "vaporosa": il vapore, per sua natura, compie dei movimenti a spirale, disegna delle volute.

 

Un romanziere ottocentesco scriveva: 

Le fate arrivavano su dei carri vaporosi, scendevano da una nuvola [...], piroettavano...
[André Theuriet, Les enchantements de la forêt, Parigi, Hachette, 1881, p. 17] 

 

Una studiosa di storia delle tradizioni popolari evidenzia: 

[Alcune fate] disponevano di un corpo diafano e trasparente, figure di nebbiolina che volteggiavano sugli stagni.
[Marie-Charlotte Delmas, Sur la trace des fées, Glénat, 2004, p. 7]

 

 

Anche queste piroette hanno a che fare con La Salette?

 

 

Incredibilmente, sì.

 

 

Nei vari libri devozionali su La Salette questo particolare imbarazzante non è riportato, ma il padre salettino Jean Stern, come sappiamo, ha pubblicato l'intera raccolta dei documenti disponibili (con Nihil obstat e Imprimatur del vescovo di Grenoble, mons. Gabriel Matagrin).

 

Nel febbraio 1847 Mélanie viene interrogata da padre François Lagier, che stila un verbale annotando esattamente domande e risposte. 

A un certo punto, il sacerdote la interroga in merito al momento in cui ha cominciato a vedere la Signora. 

 

 

Mélanie risponde, ripetendo due volte il verbo-chiave, la prima in francese, la seconda nel suo dialetto (il patois): 

 
Ci abbagliava  e ci stropicciavamo gli occhi; quando abbiamo cominciato a vederla, lei girava [virait], girava [virava].
[Premier interrogatoire de Mélanie par l'Abbé Lagier - Document 96, in Jean Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, Desclée De Brouwer, 1980, p. 287 (una riproduzione digitale del volume è disponibile qui)]

L'immagine è chiaramente imbarazzante, se attribuita alla Madonna. 

Lagier stese, però, anche un documento parallelo in cui migliorava la forma delle dichiarazioni di Mélanie.

 

 

Da apologeta, in questa "bella copia", interpreta questo passaggio, di sua iniziativa, come se la ragazzina avesse parlato di un'impressione soggettiva:

Sembrava che girasse, girasse incessantemente su sé stessa.
[Premier interrogatoire de Mélanie par l'Abbé Lagier - Document 96 bis, ibidem. Testo originale: "Il semblait quelle (scil., qu'elle) tournait, tournait incessamment sur elle-même."]

 

​Non è che cambi moltissimo, in verità. Ma tant'è.

Da notare che, come abbiamo visto, nel 1878, nel racconto dell'apparizione pubblicato con l'imprimatur di mons. Zola, Mélanie si contraddice, affermando che la figura appariva "immobile".

Ma all'epoca non era più una pastorella adolescente, bensì una donna di 47 anni che per un ventennio aveva vissuto in diversi conventi, ed era bene in grado di comprendere di non poter dire che la Madonna "girava, girava".

- La nuvola luminosa

Nel 1846, a La Salette, l'apparizione si sarebbe manifestata così:

Melania volge gli occhi alla piccola fontana e vi scorge sul bordo un globo di luce [...]. A un tratto, come se il globo luminoso si schiudesse, si scorge nel suo centro una Signora...
[G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., pp. 19-20; cfr. James Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., pp. 302, 318 e 346]

Similmente, nel momento conclusivo dell'apparizione, la Signora di La Salette rientra in una nube luminosa:

La Signora [...] si è sollevata a poco a poco fino all'altezza di 2 metri scomparendo gradualmente come se fosse penetrata in una nuvola.
​[Jean Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., p. 172; cfr. G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 27]

Nel febbraio 1847 Maximin dichiara: "Abbiamo visto una grande luce dove lei era scomparsa" [J. Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., p. 300] e in una lettera al vescovo di Grenoble, mons.  Ginoulhiac, il 19 giugno 1857 aggiungerà: "Abbiamo visto e seguito questa luce fino ad una grande altezza nell'aria" [ibidem, nota 3].

Ebbene, tradizionalmente si credeva che le fate si manifestassero proprio all'interno di nuvole luminose. 

Il teatro e la letteratura ottocentesca conservano diverse testimonianze di queste antiche credenze.

 

 

Ad esempio, nel 1823, un giovane Honoré de Balzac pubblica, con lo pseudonimo di Horace de Saint-Aubin, la prima edizione del romanzo La dernière fée (L'ultima fata), che, al di là dell'inverosimiglianza della trama, ben documenta, diversi anni prima di La Salette, quale fosse l'immagine canonica della fata, nella cultura popolare francese. 

 

 

Il protagonista è Abel, un ragazzo molto ingenuo, che in vita sua ha letto solo racconti sulle fate e crede che esse esistano realmente.

In occasione del primo incontro con la duchessa di Sommerset (che gli fa credere di essere la "fata delle Perle"), Abel ha l'impressione che la donna sia "al centro di una nuvola di luce bianca come quella di una stella" [H. de Balzac, La dernière fée, Bruxelles, Meline, 1836, p. 69].

 

 

Abel "vedeva sempre la fata delle Perle e la sua nuvola luminosa" [ivi, p. 73].

- Le pietre e la fontana

Come abbiamo già evidenziato, Mélanie e Maximin avrebbero visto la Signora seduta sulle pietre poste attorno alla fonte [cfr. J. Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., p. 283].

Si tratta di due dei tre consueti elementi naturali che, di volta in volta, si alternano e variamente si abbinano, nelle "apparizioni" di ogni tipo. 

 

 

Ad esempio, quando, a partire dal XII secolo, le fate passano dal folklore alla cultura dotta, testimonianze letterarie come i lai e i romanzi cavallereschi narrano di cavalieri che tipicamente si imbattono nelle fate vicino a una sorgente nei pressi di un albero (cfr. Jean-Pierre Gallais, La fée à la fontaine et à l'arbre. Un archetype du conte merveilleux et du récit courtois [La fata presso la fonte e l'albero. Un archetipo della fiaba e del racconto cortese], Rodopi, 1992).

- Il viso abbagliante 

Il volto emana una luce particolarmente forte, sia nel caso delle leggende relative alle fate che nel caso della Madonna di La Salette.

 

 

A La Salette, il viso della Signora è "abbagliante" [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 21; cfr. J. Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., pp. 224 e 318].

Nel romanzo, pubblicato prima dei fatti di La Salette, Abel dice che il viso delle fate è "sfavillante" [H. de Balzac, La dernière fée, cit., p. 48].

- Una voce dolce e armoniosa

A La Salette, "la voce di quella Signora è tanto dolce, ha armonie celesti" [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 20; cfr. J. Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., p.  117 e La Salette. Documents authentiques, vol. 2, Cerf, 1984, p. 132].

La "fata" di Abel ha una "voce armoniosa, dolce" [H. de Balzac, La dernière fée, cit., p. 99].

​​

- Una bellezza indescrivibile 

La Signora di La Salette "è di una bellezza mai vista prima e indescrivibile" [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 21].

D'altro canto,

Le fate sono così piene di grazie e di dignità celeste che non ce ne si può fare che un’idea incompleta, perché il termine di paragone ci manca...
[Superstitions, in Dictionnaire des sciences occultes, cit., col. 599]

​- L'altezza 

A La Salette, "la Signora è alta di statura, di aspetto maestoso..." [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 21].

"Le fate non si distinguono dai semplici mortali che per una bellezza superiore, talvolta un'altezza superiore..."

[L. Harf-Lancner, Le monde des fées dans l'Occident médiéval, cit., p. 146].

- Le perle sulla veste, la corona di fiori luminosi in testa, l'oro sulle calzature

A La Salette, l'abito bianco della Signora "appare come disseminato di punti brillanti simili a perle." [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 22; cfr. J. Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., p. 293].

 

Nel romanzo di Balzac, la "fata" aveva una veste "intessuta di perle" e "una cintura di perle" [H. de Balzac, La dernière fée, cit., p. 69].

 

 

A La Salette, il capo della bella Signora è adornato "da una corona di rose" da cui "escono raggi di luce" [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 22; cfr. J. Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., p. 104].

Riguardo alla "fata delle Perle" del romanzo di Balzac, la sua "testa era coronata di fiori” [H. de Balzac, La dernière fée, cit., p. 159].

 

 

Ma non basta.

 

 

Anche dai fiori posti sulla testa delle fate, come da quelli posti sulla testa della Signora di La Salette, escono raggi di luce:

 

 
Esse [le fate] [...] intrecciano fiori nei loro capelli [...], a volte bianchi e scintillanti come un raggio di luce...
[Superstitions, in Dictionnaire des sciences occultes, cit., col. 599]

 

​A la Salette, "la Signora porta delle scarpe bianche costellate di perle, rivestite da fermagli d'oro e circondate da rose...” [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 22 cfr. J. Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., pp. 81, 224].

Secondo la tradizione popolare, la fata tipicamente compare (accanto alla culla di un bambino, come segno di un destino propizio),  con i "fiori sparsi sotto i suoi piedi leggeri, che calzano stivaletti d'oro" [G.-A. Gielly, La Grotte des Fées à Saint-Maurice, Lesser, Vevey 1865, p. 13].

- La veste bianca e l'abbigliamento da contadina

Nella pagina "Lettere cadute dal cielo": una scomoda verità su La Salette (1846), dove iniziò la serie dei "segreti" mariani, abbiamo evidenziato che la Signora, al di là di quelli che abbiamo ora visto essere gli ornamenti da fata, era vestita come una tipica contadina francese, seppur con una prevalenza del bianco: la cuffia "di un bianco splendente"; "abito, pure bianco", scialle "dello stesso colore dell'abito", "grembiale di color giallo brillante" [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., pp. 21-22].

 

 

Si potrebbe pensare che almeno questi ultimi elementi siano in contrasto con la figura della fata.

 

 

Al contrario:​

Le testimonianze che evocano i loro abiti le descrivono spesso vestite di bianco. Per il resto, indossavano il costume delle contadine dell'epoca.
[M.-C. Delmas, Sur la trace des fées, cit., p. 7]

 

 

 

- Cammina sull'erba senza farla curvare 

​Mélanie e Maximin dicono che la Signora sembrava "piuttosto scivolare che camminare, sfiorando appena, senza farle curvare, le erbe alte in quel punto una quindicina di centimetri" [G. Barbero, La Vergine a La Salette, cit., p. 28; cfr. J. Stern, La Salette. Documents authentiques, vol. 1, cit., pp.  81, 367 e vol. 2, pp. 54, 62, 73].

Nel romanzo pubblicato anni prima dei fatti di La Salette, Abel dice che le fate "camminano sui fiori senza curvarli" [H. de Balzac, La dèrniere fée, cit., p. 48].

La Salette prima di La Salette: Laus, lo changelinla Signora Maria 

​​A circa 50 chilometri da La Salette, a Laus, la Madonna avrebbe cominciato ad apparire, nel 1664, ad un'altra pastorella, la sedicenne Benoîte Rencurel, e il fenomeno sarebbe continuato, con cadenza irregolare, per 54 anni.

Laus è una delle poche "apparizioni" precedenti al 1800 per cui sia disponibile una documentazione di una certa ricchezza. 

Nel 2008, ben tre secoli dopo la morte di Benoîte, le "apparizioni" di Laus sono state approvate ufficialmente dal vescovo di Gap-Embrun, Jean-Michel Di Falco Léandri, con il consenso della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Le uniche fonti esistenti per la conoscenza di Benoîte sono alcuni manoscritti dell'epoca, i cosiddetti Manoscritti di Laus, dettagliati ma puramente apologetici. Essi furono scritti da quattro autori.

 

 

Il primo fu un devoto giudice della zona, François Grimaud. Il manoscritto più importante ed esteso è l'ultimo, opera del confessore di Benoîte, padre Pierre Gaillard.  

Tutte le citazioni dei Manoscritti che si troveranno di seguito sono tratte dal volume di padre Roger de Labriolle Benoîte la Bergère de Notre-Dame du Laus [il libro è un estratto di uno studio più esteso che era stato commissionato allo stesso Labriolle, a metà Novecento, dall'arcivescovo di Gap, mons. Auguste Bonnabelin; l'opera, in quattro volumi ciclostilati, fu completata nel 1963 ed è tuttora conservata negli archivi del Santuario di Notre-Dame du Laus: Histoire critique du pèlerinage de Notre-Dame du Laus et de la vie de Soeur Benoîte Rencurel].  

 

Per comprendere quanto la credenza nelle fate fosse diffusa in Europa all'epoca dei fatti di Laus, basti considerare che Robert Kirk, il pastore presbiteriano scozzese che abbiamo già citato, nel suo libro scritto nel 1692 cercava addirittura di conciliare fede cristiana e credenza nelle fate. 

 

 

Per Kirk, la "prova" dell'esistenza delle fate (e di altre entità del folklore celtico e germanico) era il fatto che tanta gente diceva di vederle (avendo quello che lui chiamava il dono della "seconda vista").

 

 

Ma torniamo alla vicenda di Laus. 

 

 

Le apparizioni dei primi mesi sarebbero avvenute in una zona chiamata Vallone dei Forni, in cui è presente una sorta di grotta (una fenditura collinare ingrandita dagli abitanti del posto).

 

 

In occasione della prima apparizione, nel maggio 1664, mentre Benoîte sta pascolando le pecore dei signori Rolland (per conto dei quali lavora), "all'improvviso vede una bella Signora sulla roccia, che tiene per la mano un bambino piccolo, di una singolare bellezza" [R. de Labriolle, Benoîte la Bergère de Notre-Dame du Laus, Louis-Jean, 1996, p. 30].

 

Dai suoi abiti e dal suo viso escono tante luci che lei non ha mai potuto osservare i suoi tratti.
[Ibidem

 

 

Dopo essere rimasta per qualche tempo senza parlare,

 

 
la Santa Vergine prende Gesù bambino in braccio e scompare nell'antro della roccia, da dove la pastorella l'ha vista diverse volte uscire e rientrare. 
[Ibidem]

*****

Nelle settimane successive, Benoîte dice di continuare a vedere tutti i giorni la Signora, che però non parla quasi mai. 

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La pagina 33 del libro di padre de Labriolle.

 

 

Un giorno, accade ciò che padre Gaillard riporta nel suo Manoscritto:

 

Un mese dopo che la signora Rolland ebbe partorito e si fu alzata dal letto, Benoîte prese la neonata nel suo grembiale per portarla alla rupe. La sua padrona le chiese dove portasse sua figlia. Ella disse: "A scambiarla con il bel bambino della Signora: lei è troppo brutta"... e aggiunse che portando questo bambino in chiesa avrebbe fatto gioire tutti, data la sua bellezza. Si giudichi la sua semplicità da questo: ella lo avrebbe fatto, se non glielo si fosse impedito!
[Ivi, p. 33]

 

Come si vede, padre Gaillard elogia la "semplicità" della quasi diciassettenne Benoîte in maniera davvero paradossale

Tra l'altro, per quest'episodio, Benoîte sembra essersi ispirata ad una specifica tipologia di racconto relativo alle fate.

Si credeva, infatti, che una fata, avendo avuto un figlio brutto, potesse sottrarre ad una mamma un neonato bello, sostituendolo con il proprio, che assumeva il nome di changelin (in francese) o changeling (in inglese).

 

 

Al di là del rovesciamento della situazione (qui è la famiglia "umana" ad avere il bambino "brutto"), il motivo ispiratore appare analogo.

*****

 

Il 29 agosto 1664 ha luogo la cosiddetta "grande apparizione", così chiamata perché avviene alla presenza di tutti gli abitanti del paese di Benoîte, Saint-Étienne-d'Avançon.

 

 

Per quel giorno, - a dire della pastorella -  la Signora ha chiesto che si faccia una processione alla grotta, guidata dalla stessa Benoîte. Dopo di che "lei sola avrà l'onore di vederla con suo Figlio" [ivi, p. 42].

 

Quando inizia la presunta apparizione, il giudice Grimaud, lì presente accanto a Benoîte, viene coinvolto emotivamente dalle parole della pastorella, che gli dice: "Come? Signor giudice, voi non la vedete? [...] Signore! Lei vi tende la mano..." [ivi, p. 46].

 

 

Continua il racconto dello stesso Grimaud:

Il che mi obbligò, con il cappello in mano, e in ginocchio, a stendere la mano nell'antro per vedere se qualcosa di invisibile mi avrebbe toccato. La verità: io non ho toccato niente.
E nel frattempo la pastorella mi dice che la damigella scompariva e si addentrava nell'antro.
[Ibidem (la giustificazione di Benoîte ricorda molto da vicino quella che sarà avanzata da Vicka, a Medjugorje, per motivare il fatto che la dottoressa Glamuzina, avendo chiesto di toccare la Madonna, non sentì nulla: "Svolta" nelle indagini o solo impressioni soggettive?)].

 

Il racconto del giudice Grimaud prosegue:

Dio mi ispirò di dire a Benoîte di chiedere alla damigella che lei vedeva come si chiamasse. Lei lo fece immediatamente e mi rispose subito che Ella si chiamava "Signora Maria".
[Ibidem]

Questa presentazione ("Je suis Dame Marie") è ricordata anche nel sito ufficiale del Santuario di Laus.

L'espressione "Signora Maria" è tanto insensata, se riferita alla Madonna, quanto normale, secondo le tradizioni popolari, se riferito a una fata.

 

Cominciamo con il dire che le fate erano comunemente definite "Signore". L'appellativo deriva da un'espressione latina con cui si definivano le Parche: Signore del fato (Dominae fati : Ovidio, Tristia, V, 3, 17).

 

Dagli atti del primo processo a Giovanna d'Arco risulta che l'Albero delle Fate, che sorgeva vicino ad una sorgente nei pressi del suo villaggio, era chiamato anche "Albero delle Signore" [cfr. G. F. Eysell,  Johanna d'Arc, genannt die Jungfrau von Orleans, Regensburg, Manz, 1864, p. 677, nota 60].

Ebbene, per indicare le fate con il loro nome specifico, si utilizzavano, per l'appunto, espressioni come:

 

 

  • Signora Morgana (Dame Morgane): un esempio qui;

  • Signora Melusina (Dame Melusine, la fata che la nobile casata dei Lusignan asseriva fosse la propria progenitrice, perché, secondo la leggenda, nell'VIII secolo avrebbe sposato Raimondin, capostipite della famiglia, incontrato presso la Fontana delle Fate): un esempio qui;

  • Signora Lorie (Dame Lorie, fata dei boschi): un esempio qui;

  • Signora Margot (Dame Margot, fata che si credeva abitasse in una grotta): un esempio qui;

  • Signora Viviana (Dame Viviane, anche detta la Fata del Lago, che, secondo la leggenda medievale, avrebbe allevato il cavaliere Lancillotto): un esempio qui.

*****

Nel settembre 1664, le "apparizioni" si spostano in località Laus (parola che nel dialetto patois significa "lago", ma il piccolo lago allora presente è da tempo prosciugato), dove, dopo pochi mesi,  cominciano ad affluire grandi quantità di pellegrini.

 

 

Di conseguenza, la diocesi invia ben presto dei sacerdoti a occuparsi della cappellina di Laus (che sarà prontamente ingrandita e trasformata in una chiesa vera e propria). Tra questi, ci saranno quelli che diventeranno i due confessori di Benoîte: il già più volte citato padre Pierre Gaillard e, a partire dal 1669, anche padre Jean Peytieu (che sarà un altro autore dei Manoscritti).

Da loro, Benoîte inizierà a ricevere una formazione religiosa.

 

 

Nei Manoscritti  di Peytieu e di Gaillard (compilati, rispettivamente, intorno al 1685 e dopo il 1707)  la risposta "Io sono la Signora Maria" diventa:  "Io sono Maria, Madre di Dio" (Peyteau) e "Io sono Maria, Madre di Gesù, il mio Figlio carissimo" (Gaillard) [R. de Labriolle, Benoîte la Bergère de Notre-Dame du Laus, cit. p. 47].

Continua nella parte 7: Le irrilevanti profezie di La Salette

Marco Corvaglia

Pagina pubblicata l'8 aprile 2023  

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