Prodigi religiosi alla prova della critica storica
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La Sindone esisteva prima del XIV secolo? L'illusione del Codice Pray
di Marco Corvaglia
Un codice per nulla misterioso
Unzione del corpo di Cristo, miniatura, 1192-1195, Codice Pray, Biblioteca Nazionale Széchenyi, Budapest (OSZK MNy 1, f. 28r).
I sindonologi (che di fatto costituiscono una comunità di studiosi tesa alla dimostrazione dell'autenticità della Sindone) ipotizzano l'esistenza della Sindone prima della sua comparsa a Lirey nel 1355-1356 basandosi su alcuni manufatti artistici del XII secolo che, a loro parere, deriverebbero dalla Sindone.
In particolare, fanno riferimento al cosiddetto Codice Pray, un manoscritto ungherese contenente una miniatura del 1192-1195 nella quale sono rappresentate due scene che essi definiscono "di evidente ispirazione sindonica" [A. Caccese, E. Marinelli, L. Provera, D. Repice, Il Mandylion a Costantinopoli (anche disponibile online), in E. Marinelli (a cura di), Nuova luce sulla Sindone, Ares, 2024, p. 110].
Nella scena superiore è raffigurata l'unzione di Cristo deposto dalla croce.
I sindonologi sottolineano che, analogamente alla Sindone, "il corpo è interamente nudo e le mani si incrociano a coprire il basso ventre" [ibidem]; inoltre "le mani del Cristo sono raffigurate senza i pollici" [ivi, p. 111].
Analizziamo criticamente tutte le analogie di cui parlano i sindonologi.
La nudità
Il primo a portare all'attenzione della sindonologia il Codice Pray fu Ian Wilson, nel suo libro del 1978 The Turin Shroud.
Da allora i sindonologi di tutto il mondo ripetono che la Sindone di Torino presenta una nudità del Cristo morto che nel Medioevo era artisticamente anomala: di conseguenza, la nudità nel Codice Pray si spiegherebbe solo presupponendo da parte del miniatore una conoscenza della Sindone.
Ad esempio, il notissimo sindonologo francese (con formazione universitaria in campo giuridico) Tristan Casabianca, in un suo studio pubblicato nel 2023 su Sindon, rivista del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone (organismo riconosciuto ufficialmente dall'arcidiocesi di Torino), scrive:
A volte, gli artisti rappresentavano Gesù nudo nel XII secolo - per esempio, nelle raffigurazioni della scena del battesimo. Nel III e nel V secolo un paio di Padri della Chiesa immaginarono la nudità di Cristo durante o dopo la crocifissione (Pietro Savio, Sindon, 1960, 3, p. 18-19). Tuttavia, la rappresentazione pittorica della sua nudità dopo la crocifissione non appare prima della fine del XIV secolo. La principale ragione è che gli autori dei Vangeli non menzionano la nudità di Gesù durante la Passione. Quindi perché un artista del XII secolo avrebbe dovuto prendere quest'iniziativa?
[Tristan Casabianca, The influence of the Pray Codex in the debate about the Shroud of Turin, "Sindon", n. 7, Luglio 2023, p. 29]
Sono affermazioni non corrette.
In realtà, l'idea che Gesù fosse stato crocifisso (e di conseguenza deposto dalla croce) nudo era un luogo comune del pensiero religioso del Medioevo in generale e del Basso Medioevo in particolare (ciò sulla base del racconto evangelico secondo cui i soldati si spartirono le vesti di Gesù e anche sulla base di alcune versioni degli apocrifi Atti di Nicodemo, più esplicite sul tema [cfr. M. Craveri (a cura di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, 2005, p. 339]).
Ad esempio, è un'idea presente nel XII secolo negli scritti di Teofilatto e di sant'Anselmo [cfr. P. Savio, Prospetto sindonologico, "Sindon", II, 3, Agosto 1960, p. 28], nel XIII secolo in varie opere di san Bernardo (tra le altre, Vitis mystica, II, 3) o nell'anonimo poema Vita beatae virginis Mariae et Salvatoris rhytmica [v. 4986]; inoltre, "i riferimenti a Cristo che pende nudo dalla croce abbondano nei testi francescani del tardo Duecento" [A. Derbes, Picturing the Passion in Late Medieval Italy: Narrative Painting, Franciscan Ideologies, and the Levant, Cambridge University Press, 1996, p. 30].
Nella prima metà del XIV secolo, riferimenti alla nudità di Gesù crocifisso si trovano in svariati passi delle Revelationes di santa Brigida di Svezia [VII, 15, 1; VII, 21, 11; XI, 18, 16; XII, 17] o nelle meditazioni di Enrico Suso [E. Seuse (Suso), Il libro della saggezza eterna, Bocca, 1942, p. 119].
Anche a livello iconografico, come stiamo per vedere, gli esempi di nudità di Gesù durante e dopo la crocifissione non mancano, fermo restando il principio di celare in qualche modo le sue parti intime (sarà così fino a Michelangelo).
Nelle miniature dell'Evangeliario dell'XI secolo conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze si trovano due esempi di Gesù deposto dalla croce completamente nudo (la funzione di "copertura" è svolta in un caso dalla sua mano sinistra e nell'altro dal braccio sinistro di Nicodemo, chinato sul suo corpo):
Miniature raffiguranti la deposizione di Cristo, XI secolo, Evangeliario, Biblioteca Medicea Laurenziana (Plut. 6, 23, ff. 96r e 163r).
Devono rientrare a pieno titolo tra gli esempi di nudità anche i casi in cui Cristo indossa solo un perizonium artificiosamente trasparente che, con l'opportuna annodatura o altri accorgimenti, nasconde ciò che dev'essere nascosto.
È chiaro che si tratta di un puro espediente, al pari degli altri, per rappresentare comunque la sua nudità.
In Oriente, uno degli esempi più antichi di questo tipo si trova nel monastero di Santa Caterina del Monte Sinai, in Egitto, e risale al 1100 circa:
Crocifissione con santi, tempera su tavola, c. 1100, Monastero di Santa Caterina sul monte Sinai [cfr. A.W. Carr, Icon with the Crucifixion, in H. C. Evans, W. D. Wixom (a cura di), The Glory of Byzantium. Art and Culture in the Middle Byzantine Era, Metropolitan Museum of Art, New York 1997, pp. 372-374].
In Occidente, un esempio dell'XI secolo si trova nell'abbazia di S. Angelo in Formis:
Crocifissione (particolare), affresco, XI secolo, Scuola Cassinese, Abbazia di S. Angelo in Formis, Capua.
Un esempio del XII secolo viene invece dalla chiesa di San Panteleimon, a Gorno Nerezi, in Macedonia del Nord (si tratta di un affresco ben noto perché è sistematicamente e ingiustificatamente presentato nelle pubblicazioni sindonologiche come esempio di altra presunta opera ispirata alla Sindone):
Compianto sul Cristo morto, affresco, 1164, chiesa di San Panteleimon, Gorno Nerezi, Macedonia del Nord.
Al XII secolo risale anche l'esemplare presente nel duomo di Spoleto:
Alberto Sotio, Cristo crocifisso con la Madonna e san Giovanni Evangelista, tavola, 1187, Cattedrale di S. Maria Assunta, Spoleto.
Tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XIV, per impulso della spiritualità francescana che fa proprio il motto di san Girolamo (IV-V sec.) nudus nudum Christum sequi ("seguire, nudo, Cristo nudo"), i crocifissi nei quali Cristo è coperto solo da un perizonium trasparente si moltiplicano (a puro titolo d'esempio, Cimabue, Giotto, Simone Martini, Segna di Bonaventura, Pietro Lorenzetti, Roberto d'Oderisio, esponenti della scuola di Pietro Cavallini).
A tal proposito, la storica dell'arte Anne Derbes osserva che "il perizoma trasparente si avvicina alla nudità per quanto il senso del decoro può permettere nel tredicesimo secolo" [Derbes, op. cit., p. 31].
In altri casi, il perizonium non presenta annodature strategiche, oppure è del tutto assente: si ricorre allora ad espedienti diversi, come la semplice assenza di dettagli.
Al 1255 circa risale questa miniatura che ritrae Gesù che, mentre sale sulla croce, volta il busto verso un suo carnefice che lo spoglia:
Cristo denudato mentre sale sulla croce, miniatura, c. 1255, Stiftsibliothek, Melk (ms. 1833, f. 47v).
Ecco un'unzione del cadavere di Gesù del XIII secolo, proveniente dalla Spagna:
Preparazione del corpo di Cristo per la sepoltura, tempera su tavola, XIII secolo, Metropolitan Museum of Art, New York.
Questo è un dipinto di Scuola riminese dell'inizio del 1300:
Scuola riminese, Crocifissione, dipinto su tavola, 1310-1320, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera.
Questo è un dipinto di Pietro Lorenzetti, della stessa epoca:
Pietro Lorenzetti, Crocifissione, tempera e oro su tavola, prima metà del XIV secolo, Pinacoteca Nazionale, Siena.
Vediamo due miniature inglesi:
Cristo inchiodato alla Croce e Crocifissione, miniature, 1320-1330, Holkham Bible Picture Book, British Library (Add. 47682, ff. 31v e 32).
Un dipinto proveniente dalla Spagna:
Polittico con scene della vita di Cristo (particolare), 1345-1350, Morgan Library & Museum, New York.
Altre volte possiamo ritrovare lo schema secondo cui è solo una mano di Cristo (quella rivolta verso lo spettatore) a coprire il basso ventre:
Giovanni Baronzio, Storie della Passione di Cristo (particolare), tempera su tavola, 1330-1340, Gallerie Nazionali Barberini Corsini, Roma.
Talvolta può essere la Madonna o la Maddalena a coprire con il proprio velo il basso ventre di Cristo:
Jean Le Noir, Deposizione, miniatura, 1375-1380, Horae ad usum Parisiensem, Bibliothèque nationale de France, Parigi (Département des Manuscrits, Latin 18014, f. 94v).
L'asserita singolarità della nudità del Cristo della Sindone e del Codice Pray nasce semplicemente da un'operazione di destoricizzazione portata avanti da decenni dalla sindonologia, che legge le immagini in questione secondo i nostri canoni e la nostra sensibilità moderna e non secondo quelli dell'epoca in cui esse comparvero.
Le mani incrociate
Un discorso analogo vale per le mani incrociate.
Le mani incrociate sul pube di Cristo morto nel XII secolo costituivano una nascente convenzione artistica che in seguito si sarebbe diffusa anche in una forma variata: sul ventre o sul petto, nella particolare tipologia del Cristo in pietà (in cui si vede solo il busto di Gesù, morto ma in piedi, addossato alla croce o ergentesi nel sepolcro: secondo alcune interpretazioni si tratterebbe di una rappresentazione simbolica dell'elevazione dell'ostia durante la celebrazione eucaristica [cfr. H. Belting, L'arte e il suo pubblico. Funzione e forme delle antiche immagini della Passione, Nuova Alfa Editoriale, 1986, p. 76]).
Ci sono motivi per ipotizzare che all'origine di questa tendenza artistica ci sia la Sindone?
Assolutamente no.
Innanzitutto, nel XII secolo sarebbe stato possibile raffigurare un cadavere in quella posizione riproducendo semplicemente le consuetudini correnti.
A proposito degli usi funerari del Medioevo, i professori Andrea Augenti (Università di Bologna) e Roberta Gilchrist (Università di Reading), scrivono:
La salma era usualmente posizionata nella tomba in posizione supina, con le braccia completamente distese oppure incrociate sul petto o sul bacino, ma sono attestate molte altre posizioni.
[Andrea Augenti, Roberta Gilchrist, Life, Death and Memory, in J. Klápště (a cura di), The Archaeology of Medieval Europe, Vol. 2: Twelfth to Sixteenth Centuries, Aarhus University Press, 2011, p. 504]
Bisogna però anche dire che questa corrispondenza, pur essendo sospetta, non prova automaticamente che la Sindone sia medievale.
L'antropologia culturale ci insegna che in varie società umane è possibile osservare, tra le posizioni di sepoltura, gli avambracci incrociati sul petto o sul bacino [cfr. C. Riley Augé, Field Manual for the Archaeology of Ritual, Religion, and Magic, Berghahn Books, 2022, p. 73] e qualche raro caso di defunto con le mani incrociate sul bacino è stato in effetti trovato dagli archeologi anche in ambito ebraico, solo a Qumran comunque (in campagne di scavo degli anni Cinquanta del secolo scorso).
Quello che ora qui ci interessa sottolineare è questo: nel codice Pray, come accade sistematicamente in tutte le altre più antiche attestazioni della tendenza artistica di cui stiamo parlando, risultano visibili i dorsi di entrambe le mani di Gesù. Nella Sindone, invece, una mano copre integralmente il dorso dell'altra.
In sequenza: Compianto sul Cristo morto, particolare di un avorio bizantino dell'inizio del XII secolo, Victoria and Albert Museum, Londra; Nicola di Verdun, Sepoltura di Cristo, smalto su rame dorato, 1181, abbazia di Klosterneuburg; Cristo in pietà, miniatura, c. 1265, Staatsbibliothek, Monaco di Baviera (Clm 23094, f. 7v).
Le mani dell'Uomo della Sindone.
Non ci sono quindi le basi minime né per affermare né per ipotizzare l'origine sindonica di quest'uso.
Da notare che nel 1300, il secolo in cui compare la Sindone, la tendenza a presentare incrociate le mani di Cristo morto sarà ancor più diffusa (ma di questo parleremo nel prossimo articolo).
Il pollice nascosto
Ugualmente convenzionale (si vedano le immagini precedenti) la non visibilità del pollice, che caratterizzerà anche alcuni esemplari di Cristo in pietà del 1300 (ad esempio, quello realizzato da Pietro Lorenzetti intorno al 1340-1345 e conservato nel Lindenaum-Museum di Altenburg o quello realizzato da Naddo Ceccarelli intorno al 1347, oggi nel Liechtenstein Museum di Vienna). Pertanto, anche un artista che avesse realizzato la Sindone avrebbe potuto adeguarsi a questa tendenza.
Tale convenzione nasce da una modalità di rappresentazione (non specifica per Gesù) che ricorre ogniqualvolta l'artista immagini il dito nascosto dal palmo della mano (anche nello stesso codice Pray risultano completamente nascosti il pollice della mano sinistra di Nicodemo, che versa gli aromi, e quello della mano destra di Giovanni).
Il rivolo di sangue inesistente
I sindonologi argomentano ancora:
Sulla fronte c'è un segno che ricorda l'analogo rivolo di sangue che si osserva sulla Sindone.
[Caccese, Marinelli, Provera, Repice, op. cit., p. 111]
Il leader mondiale della sindonologia a cavallo tra XX e XXI secolo, Ian Wilson, è ancora più esplicito:
Proprio sopra l'occhio destro di Gesù c'è una sola macchia di sangue sulla fronte. Delineata in rosso, è collocata esattamente nella stessa posizione di quella caratteristica macchia a forma di 3 rovesciato sulla fronte di Gesù sulla Sindone.
[Ian Wilson, The Shroud: Fresh Light on the 2000-Year-Old Mistery..., Bantam Books, 2010, p. 243]
Il volto dell'Uomo della Sindone e del Cristo del Codice Pray.
Il professor Andrea Nicolotti ha già evidenziato:
Quel segno è una sbavatura indistinta che non è somigliante alla ε né per la forma né per la posizione (nella Sindone esso sta al centro della fronte); inoltre quando il miniaturista vuole rappresentare le macchie di sangue, come fa nel Cristo in trono miniato nella pagina successiva, usa ben altro colore, il rosso vivo, lo stesso che qui usa per le aureole. Ben più evidenti sono le altre discordanze: Gesù non ha la lunga barba né i baffi dell'uomo della Sindone, e la scriminatura della chioma non è centrale, bensì spostata sul lato sinistro della fronte. Sul suo corpo mancano le ferite dei chiodi, dei flagelli e della lancia, che sulla Sindone spiccano a motivo delle evidenti colature di sangue.
[Andrea Nicolotti, Sindone. Storia e leggende di una reliquia controversa, Einaudi, 2015, p. 303]
Sarebbe peraltro difficile credere che il miniatore abbia voluto rappresentare una piccola ferita sulla fronte avendo trascurato tutte le altre.
Infatti non l'ha rappresentata, come ora mi propongo di dimostrare in maniera molto semplice.
La miniatura in questione è contraddistinta dall'uso di due soli colori (oltre a quello usato per delineare le figure): blu e rosso minio.
La macchia sulla fronte è color ruggine. Ce ne sono altre. Una molto simile si trova vicino ad un angolo della superficie piana su cui è collocato Gesù (si veda l'immagine seguente, tratta dalla foto originale presente sul sito della Biblioteca Nazionale Széchenyi).
È evidente che si tratta di macchie dovute all'invecchiamento della pergamena.
Ne esistono di vari tipi. Nel caso in questione sembrerebbe trattarsi del classico foxing, così descritto in un manuale accademico sui processi di biodeterioramento dei materiali dei beni culturali:
Un particolare rilievo assume lo studio di alterazioni cromatiche che si possono presentare sulla carta (ma segnalate anche su tessuti, fotografie e pergamene) comunemente note con il nome di foxing o fox spots. Il foxing (in riferimento alla colorazione del manto della volpe rossa - fox in inglese) è un fenomeno complesso che si presenta come piccole macchie isolate di differenti forme e di color ruggine, bruno e giallo.
[G. Pasquariello, P. Valenti, O. Maggi, A. M. Persiani, I processi di biodeterioramento in relazione ai materiali dei beni culturali, in G. Caneva, M. P. Nugari, O. Salvadori (a cura di), La biologia vegetale per i beni culturali, vol. 1, Nardini, 2007, pp. 111-112]
Eppure, da decenni i sindonologi continuano a scrivere, compattamente, che si tratterebbe della rappresentazione di una macchia di sangue.
Lische e buchi?
La tomba vuota, miniatura, 1192-1195, Codice Pray, Biblioteca Nazionale Széchenyi, Budapest (OSZK MNy 1, f. 28r).
Nella scena inferiore sono rappresentate le mirrofore, le tre donne (le cosiddette tre Marie) che si recano al sepolcro con degli unguenti e vi trovano un angelo che indica con la mano il telo vuoto.
Secondo i sindonologi, nel Codice Pray esso è piegato in due e, come la Sindone di Torino, è lungo e stretto.
L'interpretazione sindonologica canonica, ribadita nel 2017 al Congresso Internazionale sulla Sindone tenutosi a Pasco (Washington, USA), è questa:
La parte di sopra del lenzuolo vuoto ha un disegno che imita il tessuto a spina di pesce della Sindone, mentre piccole croci rosse coprono la parte inferiore. [...] In entrambe le parti della stoffa si notano alcuni cerchietti, disposti nella stessa sequenza di un gruppo di quattro fori di bruciatura che sulla Sindone è ripetuto quattro volte.
[Caccese, Marinelli, Provera, Repice, op. cit., p. 111]
Queste affermazioni sono ingiustificate per molti motivi.
Vista ravvicinata del tessuto della Sindone (fonte: Shroud Scope).
In primo luogo, notiamo che per poter osservare lo schema a spina di pesce bisognerebbe osservare il telo molto da vicino.
Quindi, secondo la tesi sindonologica, nel XII secolo era possibile vedere la Sindone, dalla testa ai piedi, e da vicino, tanto che un anonimo miniatore ungherese poteva ispirarsi ad essa riproducendone una caratteristica così minuta.
Come mai allora nessuna fonte storica anteriore al XIV secolo fa inequivocabilmente riferimento a questo eccezionale telo funebre?
In secondo luogo, le linee presenti sulla miniatura non possono ricordare in nessun modo un tessuto a spina di pesce per come è possibile percepirlo a occhio nudo. Come possono delle linee orizzontali rappresentare le spine oblique di una lisca?
In terzo luogo, non corrisponde nemmeno il verso dello schema, visto che nella Sindone le fibre disegnano una trama che corre (com'è ovvio, data la modalità di tessitura) longitudinalmente, mentre nella miniatura, a parte una piccola fascia vicina al bordo, il disegno è perpendicolare ai lati lunghi. Un'osservazione così attenta del telo per poi sbagliare il verso?
I poker holes [Foto Giandurante, 2002, (fonte: Shroud Scope)].
Quanto ai cerchietti, essi non hanno le caratteristiche dei cosiddetti poker holes, i buchi presenti sulla Sindone (non si sa esattamente da quando: è noto solo che c'erano nel 1516), verosimilmente dovuti a qualcosa di molto caldo (carboni d'incenso?) caduto sul il telo in un momento in cui questo era piegato in quattro.
I cerchietti della miniatura non si ripetono simmetricamente a destra e a sinistra (ma i sindonologi potrebbero congetturare - poco persuasivamente - che il telo sia raffigurato con una piega longitudinale); inoltre non sono sovrapponibili (nella Sindone tutte e quattro le serie lo sono, al di là del fatto che i buchi diventano più piccoli scendendo di strato in strato) e sono orientati e posizionati in maniera diversa rispetto alla Sindone (proprio nel caso in cui si ipotizzi un telo piegato longitudinalmente, ciò significherebbe che nel Codice Pray il lato lungo della serie di presunti buchi del lembo superiore si estenderebbe dal centro del telo verso il bordo, il che non corrisponde in nessun modo a ciò che è presente sulla Sindone).
Inoltre, anche nella peregrina ipotesi che il miniatore o chi per lui avesse visto la Sindone con i buchi nel XII secolo, non avrebbe avuto molto senso riprodurli in un disegno che voleva rievocare un momento risalente a 1200 anni prima.
Da notare che, invece, sul telo non c'è l'immagine sindonica che il miniatore avrebbe dovuto ritenere che fosse lì presente dopo la resurrezione, se egli avesse realmente visto la Sindone.
Ma non è un telo...
Il fatto è che, in realtà, quelli rappresentati nella scena inferiore non sono i due lembi del lenzuolo, come i sindonologi continuano tuttora a ripetere, ma tutt'altro.
Si osservino, a puro titolo d'esempio, altre due miniature dell'epoca che raffigurano la scena della scoperta del sepolcro vuoto. Per facilitare il confronto, le faccio seguire da una riproposizione dello stesso Codice Pray.
La prima risale al 1170 circa (Getty Museum, Los Angeles, ms. 64, f. 111) e la seconda al 1260 circa (Besançon, Bibliothèque municipale, 0054).
Il confronto con la miriade di raffigurazioni bassomedievali di qualità artistica superiore ma con lo stesso soggetto consente di capire perfettamente come debba essere letta la scadente e approssimativa miniatura del Codice Pray.
Come il professor Nicolotti ha già notato,
tutto il discorso [dei sindonologi] decade tenendo presente l'iconografia medievale delle donne al sepolcro, che prevede la presenza delle tre donne con gli aromi e dell'angelo su una tomba scoperchiata e vuota, raffigurata come un sarcofago, con il coperchio ribaltato e posto di traverso.
[Nicolotti, op. cit., p. 304]
Di conseguenza,
non c'è mai stato dubbio, nemmeno fra gli storici dell'arte ungheresi, che nel Codice Pray si vedono le lastre di pietra del sarcofago, decorate in modo da ricordare lo stile bizantino, e non una sindone, che invece sta chiaramente sopra il coperchio messo di traverso, ammucchiata. Basterebbe una semplice ricerca iconografica sul motivo delle tre Marie al sepolcro per vedere che le maniere di raffigurare e decorare le lastre del sarcofago sono virtualmente infinite: cerchi, rombi, quadrati, reticolati, puntini, croci, fiori, losanghe, venature colorate, accostamenti di svariati colori e figure...
[Ivi, p. 306]
I cerchietti sono usati con funzione di decorazione anche sulla cintura dell'angelo e sulla veste di una delle donne. È anche vero che i segni grafici di cui stiamo parlando sembrano mancare dei corrispettivi simmetrici che sono propri delle decorazioni, ma bisogna considerare che né il coperchio né il sarcofago sono interamente visibili. Inoltre, i cerchietti possono essere anche una rappresentazione stilizzata di venature naturali. Purtroppo la scarsa qualità artistica della miniatura non aiuta.
In questa miniatura veneziana si vedono chiaramente le venature, in molti casi circolari, del blocco di marmo su cui siede l'angelo:
Le mirrofore, miniatura, fine del XIII secolo, particolare del dittico conservato presso l'Historische Museum di Berna, inventario n. 301 (immagine tratta da P. Huber, Image et messsage. Miniatures byzantines de l'Ancien et du Nouveau Testament, Atlantis, 1975, p. 178, fig. 19d).
Esempi di venature naturali del marmo.
Certo, il nostro mediocre miniatore non è riuscito a rendere la profondità del sarcofago, ma non era un fatto raro in un'epoca in cui ancora non esisteva una tecnica codificata per rappresentare la prospettiva.
Ecco altri due esempi di miniatori che hanno avuto un'analoga difficoltà:
Morgan Library & Museum, New York, Lezionario, 1070-1090 (ms. M.780, f. 31r) e Libro delle ore, 1204-1219 (ms. M.739, f. 24r).
Il miniatore del Codice Pray si è trovato in grande difficoltà anche nel rappresentare efficacemente la posizione dell'angelo, che dovrebbe essere seduto su una pietra posta di lato rispetto al coperchio, da lui coperto parzialmente con la veste.
Per quanto l'estrema parte sinistra della miniatura sia sbiadita, si vede comunque chiaramente che il coperchio si estende anche alle spalle dell'angelo.
Si osservi anche, dalla parte opposta, il bordo del coperchio, che sporge esternamente: se fosse un tessuto sarebbe afflosciato, non potrebbe rimanere rigido.
Non possono esservi dubbi sul fatto che l'unica lettura possibile dell'immagine sia questa.
Una questione di metodo
A questo punto, può essere molto istruttivo ricostruire il modo in cui è nata la libera interpretazione sindonologica del Codice Pray, perché aiuta a capire quali sono i pericoli di un modo sbagliato di approcciarsi ai documenti storici.
Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, Ian Wilson, il sindonologo che per primo cerca di presentare il Codice Pray come argomento a favore della Sindone, si limita a far riferimento a due elementi della scena superiore (nudità e mani incrociate) [Wilson, The Turin Shroud, Book Club Associates, 1978, p. 137], non notando evidentemente nulla su cui far leva nella scena inferiore.
Per sette anni nessuno ardisce ipotizzare che quello che tutti sanno essere un sarcofago possa essere la Sindone. Il primo a proporlo, timidamente e in maniera dubitativa è, nel 1985, il sindonologo e biblista padre André-Marie Dubarle [A.-M. Dubarle, Histoire ancienne du linceul de Turin, O.E.I.L., 1985, pp. 44-46].
L'anno seguente un suo corrispondente gli fa notare i cerchietti e da quel momento Dubarle non ha più dubbi [Id., La data delle prime bruciature che si osservano sulla Sindone, "Collegamento pro Sindone", Luglio-Agosto 1986, pp. 37-43]: gli altri sindonologi lo seguono.
In quel momento, ancora però nessuno ha notato la presunta macchia di sangue sull'occhio destro "esattamente" al posto della macchia della Sindone, come scriverà Wilson, che però non si era accorto della sua esistenza. Ci vorranno altri sei anni.
Nel 1993, infatti, si tiene a Roma un convegno di sindonologia (ufficialmente definito "Simposio scientifico internazionale").
Interviene, con una relazione che avrebbe avuto bisogno di approfondimenti critici storico-iconografici, il medico francese Jérôme Lejeune (di cui è oggi in corso il processo di beatificazione) [J. Lejeune, Étude topologique des Suaires de Turin, de Lier et de Pray, in A. A. Upinsky (a cura di), L'identification scientifique de l'homme du linceul, Jésus de Nazareth : Actes du symposium scientifique international, Rome 1993, F.-X. de Guibert, 1995, pp. 103-108].
Lejeune aggiunge ai presunti dettagli della Sindone che, a dire suo e degli altri sindonologi, il disegnatore del Codice Pray "conosce ed esprime" [ivi, p. 105], la "macchia sulla fronte a destra" [ibidem].
Così, nell'arco di 15 anni, dal 1978 al 1993, si è sostanzialmente completata la costruzione della lettura sindonologica della miniatura del Codice Pray.
Ancora una volta dobbiamo notare che non sono stati messi in atto i meccanismi critici autoregolativi propri delle discipline scientifiche: si è proceduto ad una semplice stratificazione delle interpretazioni autenticiste, man mano che esse venivano trovate da qualcuno.
Nel 1954 il saggista statunitense Darrell Huff scriveva: "Se torturi i dati abbastanza, alla fine confesseranno quello che vuoi".
Lo stesso può accadere con i documenti storici.
La domanda è d'obbligo: se esistessero reali indizi storici dell'esistenza della Sindone prima del XIV secolo, ci sarebbe bisogno di ricorrere a tutto questo?
Marco Corvaglia
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