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Un uomo con il tipico abbigliamento da passeggio dell'epoca, analogo a quello con cui, a dire di Martin, gli si sarebbe presentato l'arcangelo Raffaele.
Riguardo alla propria identità, l’uomo gli avrebbe detto: “Il mio nome resterà sconosciuto” [ivi, p. 27].
Tuttavia, quando, nelle settimane successive, vedrà che la missione da lui affidata a Martin tarderà ad attuarsi, in una delle tante apparizioni di sollecito gli dirà: "Vi avevo detto che il mio nome sarebbe restato sconosciuto; ma poiché l’incredulità è così grande bisogna che sveli il mio nome: io sono l’Arcangelo Raffaele, angelo molto vicino a Dio, ho ricevuto il potere di colpire la Francia con ogni tipo di piaga” [ivi, pp. 35-36].
Ma che cosa avrebbe detto l'arcangelo a Martin? Si trattava di un articolato messaggio, che iniziava così:
È necessario che andiate a trovare il re, che gli diciate che la sua persona è in pericolo così come quella dei Principi; che persone malvagie [agenti di Napoleone, MC] cercano ancora di rovesciare il governo; che parecchi scritti o lettere su questo argomento sono già circolati in alcune province dello Stato...
[Ivi, p. 23]
Notizie politiche già di pubblico dominio, quindi.
Il messaggio da riferire al re contiene però anche delle richieste, poi definite dallo stesso Martin (stampatello nell'originale) "LA COSA PRINCIPALE" [ivi, p. 57]:
[È necessario che gli diciate] che bisogna anche che riporti in auge il giorno del Signore, affinché lo si santifichi; che questo giorno è disconosciuto da gran parte del suo popolo; che bisogna che faccia fermare i lavori di pubblica utilità in quei giorni; che faccia ordinare delle preghiere pubbliche per la conversione del popolo; che inciti alla penitenza […].
Non fate nessun tipo di carreggio la domenica e i giorni di festa. [...]
Se non si fa ciò che ho detto, la maggior parte della popolazione morirà, la Francia sarà abbandonata in preda e in obbrobrio a tutte le Nazioni.
[Ivi, pp. 23, 27 e 28]
Profezie apocalittiche, quindi, quelle di Martin, di cui in Francia si parlerà sin dal 1816 ma ancor di più dopo il 1830 (Philippe Boutry, lo storico francese che più si è occupato della sua vicenda, attesta che “fino alla caduta dei Borbone, la diffusione della Relazione di Silvy resterà clandestina […]. Con la caduta dei Borbone [...] si succedono tre edizioni [...]. Nella stampa contemporanea [...] è soprattutto L'Ami della Religion et du Roi (diventato semplicemente L'Ami de la Religion dopo la caduta dei Borboni) [...] che dopo il 1830 pubblica in parecchi articoli i rendiconti più completi dell'avventura del coltivatore della Beauce [Boutry, Nassif, L'arcangelo, il contadino e il re, cit., pp. 272-273]).
Nel 1846, ci saranno le apparizioni mariane di La Salette: le prime apparizioni riconosciute dalla Chiesa (nella persona del vescovo locale). Due analogie legano La Salette a Thomas Martin.
A La Salette, la Madonna ammonirà circa l'imminenza di castighi, lamentandosi così: "Vi ho dato sei giorni per lavorare, mi sono riservato il settimo, e non me lo si vuole concedere. È questo che appesantisce tanto il braccio di mio Figlio. […] A messa non vanno che alcune donne già anziane. Gli altri lavorano di domenica tutta l'estate..." [G. Barbero, La Vergine a La Salette, San Paolo, 2004, pp. 24-25].
Un religioso e storico di indiscusso spessore, il gesuita Hippolyte Delehaye, che all'inizio del Novecento fu presidente della Società dei bollandisti, volle (coraggiosamente) ricondurre direttamente alle su citate "lettere" di Gesù Cristo (e quindi al folklore popolare) il messaggio di La Salette [Un exemplaire de la lettre tombée du ciel, "Recherches de science religieuse", n. 18 (1928), pp. 164–68] (avremo occasione di parlare di questo e, naturalmente, anche delle obiezioni timidamente proposte da chi sostiene La Salette).
In ogni caso, a mio modesto parere, sarebbe più opportuno vedere un legame indiretto con le "lettere", cioè un legame per il tramite di Thomas Martin, per via della compresenza di una seconda analogia.
Come abbiamo visto, La Salette sarà la prima apparizione mariana in cui, nella Francia ottocentesca, si farà riferimento a un segreto.
La prima mariana, ma non la prima in assoluto. Infatti, nella Relazione di Silvy (che, lo ricordiamo, è del 1817) si legge:
Allo stesso tempo, [l’arcangelo] lo avvertì che sarebbe stato condotto davanti al Re, che gli avrebbe svelato cose segrete del periodo del suo esilio, ma che questa conoscenza gli sarebbe stata data solo al momento in cui sarebbe stato introdotto alla sua presenza.
[Relazione, cit., in Boutry, Nassif, L'arcangelo, il contadino e il re, cit., p. 28]
Come si vede, a differenza delle tante apparizioni mariane successive, il segreto è relativo a qualcosa di già accaduto (l'esilio del re), non a qualcosa da collocare nel futuro. Tuttavia, rimane il fatto che il “veggente” si presenta come destinatario di una conoscenza che rimane riservata ed esclusiva e che egli definirà ripetutamente con il sostantivo “segreto”.
La cosa può stupirci oggi, ma re Luigi XVIII in persona volle ricevere Thomas Martin. L’incontro avvenne il 2 aprile 1816, alle Tuileries.
Martin asseriva che, prima di vedere il re, lo immaginava "come un essere del tutto straordinario, del tutto diverso dagli altri, tutto brillante e che quasi non si poteva guardare" [Le Passé et l'Avenir expliqués par des événements extraordinaires arrivés a Thomas Martin, cit., p. 61, nota 1].
Durante l'incontro, gli riferisce i messaggi. Secondo quanto da lui poi asserito, Luigi XVIII ascolta con attenzione e commozione le sue parole. Naturalmente, Martin non renderà pubblico il segreto confidato al re. Non inizialmente, almeno.
Dopo l'incontro, il contadino di Gallardon diventa una celebrità in Francia, e negli anni successivi frequenta i salotti di diversi membri della più alta nobiltà, a cui racconta le profezie che asserisce di continuare a ricevere dalla voce dell’arcangelo.
Una nota inviata il 12 maggio 1818 al ministro della polizia (Élie Decazes) segnala che quella sera "il famoso profeta Martin" ha trascorso la serata nella residenza parigina della baronessa di Corberon e "quando tornerà, ha promesso di fare delle nuove profezie" [Archives nationales, segnatura F7 6809, in G. Lenotre, Martin le Visionnaire, Perrin, 1924, p. 118].
Nel 1824 Luigi XVIII, gravemente malato, muore, a 69 anni. Gli succede il fratello, con il titolo reale di Carlo X.
A questo punto, il colpo di scena.
Thomas Martin, asserendo di sentirsi ormai sciolto dall’obbligo del segreto, lo svela pubblicamente, raccontando una nuova versione del suo incontro con l’ormai defunto Luigi XVIII. Ecco il testo da lui sottoscritto il 9 marzo 1828 (dichiarazione resa a don Pierre Perreau):
Il re mi disse: "[…] Ma mi sembra che lei abbia qualcosa da dirmi in privato e in segreto”. E allora io mi sentii venire alla bocca le parole che l’angelo mi aveva promesso, e dissi al re:
“Il segreto che vi devo dire è che voi occupate un posto che non vi appartiene.” Il re allora mi interruppe dicendo: “Come, come, essendo morti mio fratello e i suoi figli, io sono l’erede legittimo”. Io allora gli dissi: “Io non so assolutamente niente di questo, ma so bene che il posto non vi appartiene...
[Les Vingt-cinq Apparitions de l'Archange Raphaël au laboureur Thomas-Ignace Martin de Gallardon en Beauce dans les premiers mois de 1816. Suivies de l'entretien de Martin avec le Roi écrit sous sa dictée en 1828, Imp. de Crémier-Teyssier, 1886, pp. 13-14]
Quindi Martin avrebbe accusato il sovrano di aver cercato di uccidere, molti anni prima, l'allora regnante Luigi XVI, per prenderne il posto:
Un giorno che eravate a caccia con il re Luigi XVI vostro fratello, nella foresta di Saint-Hubert, il re era davanti a voi una decina di passi e voi avevate intenzione di uccidere il re vostro fratello. [...] Avevate un fucile con due colpi in canna [...]. Il re ha raggiunto il suo seguito e voi non avete potuto mettere in atto il vostro progetto...
[Ivi, p. 14]
A dire di Martin, Luigi XVIII avrebbe confermato, in lacrime, che era tutto vero.
Naturalmente, questo racconto è del tutto inconciliabile con quello precedente (ed è quindi evidentemente stato elaborato da Martin dopo la morte di Luigi XVIII).
Si considerino solo due aspetti.
Nel 1816 aveva dichiarato di aver detto al re: "Mi è stato annunciato di dirvi che voi siete troppo buono, e che la vostra grande bontà vi condurrà a delle grandi sciagure" [Relazione, cit., in Boutry, Nassif, L'arcangelo, il contadino e il re, cit., p. 56].
Inoltre, nel 1816, Martin aveva detto che l'arcangelo aveva biasimato Luigi XVIII poiché non aveva fatto pubbliche cerimonie di ringraziamento a Dio dopo essere rientrato in possesso del suo regno "legittimo" (non solo nel 1814 ma anche nel 1815, quando Napoleone, tornato temporaneamente al potere per i famosi "cento giorni", fu infine spodestato definitivamente) [sottolineature mie]:
Non bisogna credere che sia per volontà umana che l'anno scorso l'usurpatore [Napoleone] è venuto: era per castigare la Francia... Tutta la Famiglia Reale aveva fatto delle preghiere per rientrare nel suo legittimo possesso; ma una volta rientrata ha, per così dire, dimenticato tutto. Dopo il secondo esilio ha fatto ancora voti e preghiere per recuperare i suoi diritti ma è ricaduta nella stessa propensione.
[Ivi, p. 27]
Di conseguenza, parlando con il re, Martin gli avrebbe detto [sottolineature mie]:
Mi è stato detto di dirvi che il Re si deve ricordare del suo sconforto e delle avversità del tempo dell'esilio. Il Re ha pianto per la Francia; c'è stato un tempo in cui il Re non aveva più alcuna speranza di rientrarvi, vedendo la Francia alleata con tutti i suoi vicini - Sì, c'è stato un tempo in cui non avevo più alcuna speranza [...] - Dio non ha voluto perdere il Re; l'ha richiamato nei suoi Stati, nel momento in cui meno se lo aspettava. Infine il Re è rientrato nel suo possesso legittimo. Dove sono le azioni di grazia rese per un tal beneficio? Per castigare ancora una volta la Francia, l'usurpatore è stato tratto dall'esilio [...]. Il Re legittimo è stato obbligato a lasciare la capitale e credendo di tenere ancora una città nei suoi Stati. è stato obbligato ad abbandonarla. - È proprio vero, credevo di restare a Lille.
[Ivi, p. 55]
Una chiave di lettura per le contraddizioni di Thomas Martin
Si potrebbero fare innumerevoli esempi di "apparizioni" che dicono esattamente ciò che il "veggente" ha interesse a far dire loro.
Il caso di Thomas Martin è particolarmente interessante, perché le parole dell'"apparizione" cambiano coerentemente con il cambiamento delle posizioni politiche di Martin.
Bisogna premettere che, per i monarchici francesi, la salita al trono di Luigi XVIII, dopo l’età rivoluzionaria e quella napoleonica, è solo una mezza vittoria, un parziale ritorno al passato.
Infatti, Luigi XVIII fa delle concessioni di stampo liberale (in particolare la Carta costituzionale del 1814): il cattolicesimo è proclamato religione di Stato, ma vengono garantite la libertà d’opinione e di coscienza e una pari dignità a tutte le credenze.
Soprattutto, Luigi XVIII rimanda più volte la tradizionale cerimonia dell’unzione con olio crismale da parte dell'arcivescovo di Reims, a cui non si sottoporrà mai (con questo rito i re di Francia assumevano una funzione sacrale).
È chiaro che Martin si è fatto portavoce, con il passare del tempo, di due diverse e contrapposte facce del partito filomonarchico, che è all'epoca infatti diviso in due fazioni [cfr. H. Becquet, Louis XVII, Perrin, 2017, p. 112]: i più moderati si accontentano di una monarchia costituzionale, come quella realizzatasi con la Restaurazione, mentre gli ultrarealisti (più realisti del re) vogliono un pieno ritorno all'assolutismo e alla situazione precedente alla Rivoluzione.
Thomas Martin nel 1816, all’epoca dei suoi primi messaggi è chiaramente vicino alla schiera moderata.
Poi, come abbiamo visto, Martin inizia a frequentare membri della più alta nobiltà: le sue posizioni si radicalizzano. Martin aderisce allora alle posizioni di quegli ultrarealisti che, con fantasia romanzesca, affermano che il Delfino di Francia, Luigi XVII, figlio del re ghigliottinato dai rivoluzionari, non è morto nel 1795, all'età di 10 anni: è fuggito dalle condizioni di prigionia in cui si trovava e presto tornerà a prendersi il trono che solo a lui spetta di diritto.
Naturalmente, una lunga serie di esaltati si farà avanti dichiarando di essere Luigi XVII, nella speranza di vedersi assegnare il trono. E Martin, il 28 settembre 1833, riconoscerà pubblicamente come il vero Luigi XVII il signor Karl Wilhelm Naundorff, un orologiaio prussiano, che non parla nemmeno il francese.
Martin stesso conferma, in una lettera privata del 20 ottobre 1833 all'amico ultrarealista visconte Sosthènes de La Rochefoucauld: "È la stessa persona che ho visto in una visione con diversi sovrani" [Mémoires de M. le Vicomte de Larochefoucauld, aide-de-camp du feu Roi Charles X (1814 à 1836), vol. V, Allardin, 1837, p. 83].
In seguito, anche Naundorff dirà di avere apparizioni angeliche e nel 1840 (presentandosi, a pagina 1, come "Carlo-Luigi, duca di Normandia") farà pubblicare al proprio segretario, Charles de Cosson, il libro Révélations sur les erreurs de l'Ancien Testament, contenente le "rivelazioni" che asserirà di aver ricevuto in merito agli errori dell'Antico Testamento e (in un secondo tomo) al ritorno sulla terra del re Salomone.
Continua nella pagina: Caterina Labouré, la Medaglia miracolosa e le profezie a fatti compiuti
Marco Corvaglia
Pagina pubblicata il 28 luglio 2022. Aggiornata il 22 agosto 2022
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